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giovedì 23 settembre 2010

La poesia siciliana

Un po' di storia in pillole!

Con il secolo XI la vita economica e sociale si espande talmente che si assiste ad un vasto incremento anvhe nel campo dei rapporti linguistici e culturali, producendo alcuni fenomeni che vanno al di là di una stretta distinzione tra latino e volgare.
Il latino prende vigore ed è la lingua normale dei trattati teologici e filosofici, e giuridici, avendo come centri maggiori di cultura Salerno con la famosa scuola medica e Bologna patria del diritto.
Occupa grande spazio anche il francese grazie alla diffusione carolingia (la canzone di Orlando, il Tresor di Brumetto Latini.)
Il primo ambiente dove si usò espressamente il volgare è la corte di Federico II di Svevia: nacque la poesia d’arte siciliana cui impresse un grande impulso il notaio-scrittore Giacomo da Lentini. Si hanno forme poetiche compiute costruite sui fondamenti del dialetto siciliano, ma che tiene conto anche di francesismi,, provenzalismi e sicilianismi.
Nasce quindi davvero la lingua della poesia italiana, depurata dagli idiomi strettamente dialettali, che è alla base di tutte le scuole successive.

Chi vide mai così begli occhi in viso
né si amorosi fari li sembianti,
né bocca con cotanto dolce riso?
Quand’eo li parlo, moroli davanti:
e paremi ch’i vada in Paradiso,
e tegnomi sovrano d’ogn’amanti.

 Ebbe breve durata ed in Sicilia in parallelo  nacquero anche componimenti scritti in un clima dialettale e meno dirozzati, come ad esempio quelli di Cielo d’Alcamo.

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